domenica 31 ottobre 2010

Recensione film Avatar


Avatar
Di James Cameron (2009)

Avatar: il film con gli incassi più alti nella storia, che, a parere di molti, ha inaugurato una nuova era degli effetti speciali e che ha sdoganato il cinema 3D. Pare che Cameron sia una sorta di re Mida hollywoodiano: qualunque pellicola diriga diventa una pietra miliare della celluloide, non solo in termini di fama, ma soprattutto monetari (ha battuto sé stesso in quanto a totale al botteghino, sorpassando il tanto osannato Titanic). Ma ciò nonostante, una volta terminata la visione dei 162 minuti di effetti speciali sbalorditivi, battaglie volanti etc., non posso fare a meno di pensare che Avatar sia stato molto sopravvalutato rispetto a quello che realmente è. Ma procediamo con ordine.

Il film si apre raccontandoci la storia di Jake Sully (Sam Worthington), marine terrestre in viaggio per il pianeta Pandora, nel sistema di Alpha Centauri. Siamo nel 2154, la Terra è quasi totalmente inquinata e le risorse naturali sono al collasso, ed è per questo che la compagnia RDA, per cui il protagonista lavora, estrae dal sottosuolo del pianeta alieno un minerale, l’unobtanium, che potrebbe risolvere la crisi energetica. E fino a qui la trama sicuramente non spicca per originalità.

Pandora è, però, già abitato da una razza indigena, i Na’vi, umanoidi alti oltre 2 metri dalla pelle bluastra, che vivono in simbiosi con la natura. Dato che l’aria non è respirabile per gli umani, gli scienziati della compagnia hanno sviluppato un metodo per trasferire la coscienza di un umano dentro un clone Na’vi, per tentare di studiarli, ma soprattutto di farli andare via dalle loro terre. Infatti, dove si poteva trovare il più grande giacimento di unobtanium, se non sotto l’albero più sacro dei “selvaggi”? Compito di Jake sarà utilizzare il suo avatar per infiltrarsi nella tribù e convincerli a lasciare la loro casa pacificamente, termine che fa irritare, solo a sentirlo, il guerrafondaio colonnello a capo della base (Stephen Lang). Il senso di storia già sentita si fa più forte.

Jake, inizialmente malvisto dai nativi, si innamorerà sempre di più del legame che unisce i Na’vi alla natura, e soprattutto della principessa della tribù. Gli indigeni possiedono una speciale appendice alla base dei capelli, tramite cui posso connettersi con ogni animale e pianta di Pandora, enfatizzando ancora di più lo stretto rapporto fra i Na’vi e il resto del pianeta. Ovviamente i militari e il capitalismo di queste quisquiglie se ne infischiano e, nonostante i tentativi di Jake di far scappare in extremis il popolo, abbattono a suon di missili il gigantesco albero - casa. Il protagonista, par essere nuovamente accettato, torna dagli sconfitti e affranti indigeni a bordo di un gigantesco bestione volante, naturalmente la creatura più sacra per il popolo Na’vi. Da traditore e reietto, il buon Jake diventa comandate assoluto di tutte le tribù nel giro di un quarto d’ora, per guidare la riscossa contro gli umani brutti e cattivi. Vi pare di aver già visto qualcosa del genere?

Analizzando questa pellicola, grande merito va alla cura per ogni dettaglio del mondo creato da Cameron: ogni singola pianta, animale o veicolo sono studiati in ogni particolare e visivamente sono resi magnificamente. Gli effetti speciali sono un piacere per gli occhi e, visto in 3D, è sicuramente un’esperienza coinvolgente ed esaltante.

I contro sono tutti nella sceneggiatura, quanto di più banale e scontato si sia mai visto su uno schermo cinematografico, anche tridimensionale. Dopo dieci minuti di film, anche lo spettatore meno accorto avrà già capito come andrà a finire, l’eterna favola del ritorno alla natura del colonizzatore, che si unisce ai selvaggi, li comanda e sconfigge i suoi alleati di un tempo. Insomma sembra che dopo aver concentrato tutti gli sforzi sullo studio, al limite del maniacale, di tutti i particolari dell’universo di Pandora, Cameron abbia scritto la trama nel ultimo quarto d’ora disponibile prima di iniziare le riprese. Avatar è certamente pensato per essere guardato in 3D, per far immergere lo spettatore in questo affascinante mondo alieno, ma definirlo un punto cardine della cinematografia mi sembra un azzardo. Se la sceneggiatura fosse stata leggermente più curata, probabilmente saremmo davanti a una vera pietra miliare, ma la piattezza che pervade ogni dialogo penalizza di molto il voto finale.

Voto: 7/10

Voto Trash: 6/10

sabato 30 ottobre 2010

Recensione fumetti Mesmo Delivery


Mesmo Delivery
Rafael Grampà
Comma 22 – 2010
80 pagine a colori – 12 €

Mettete assieme un imitatore di Elvis, che si crede meglio dell’originale, un ex boxeur, ora autista di Tir, un’autostrada stile highway americana, più sangue e risse a profusione: ecco a voi Mesmo Delivery. Questo fumetto, scritto e disegnato dall’illustratore brasiliano Rafael Grampà, è una perla di rara bellezza e una ventata di freschezza, in un panorama fumettistico spesso troppo canonizzato.

La storia è molto semplice: i due protagonisti, Rufo e Sangrecco, che ammette “come Elvis, ero meglio io di Elvis”, stanno viaggiando a bordo del loro camion per consegnare un certo carico; Sangrecco è l’unico ch sa effettivamente cosa stanno trasportando. Il gigante non se ne deve curare e gli è stato detto che sarà pagato a consegna avvenuta. Il tir si ferma a fare una sosta in una piccola stazione di servizio in mezzo al nulla e solo l’enorme ex pugile scende, mentre il suo compare se ne rimane in cabina a fare una siesta.

Nel piccolo locale sta facendo baldoria un gruppo di bulli, fra cui un tale “Pinza”, orgoglioso del fatto di essere uno che sa picchiare e vincitore di diversi incontri clandestini. Alla vista del bruto Rufo, agli spacconi viene voglia di testare la vera abilità del “Pinza”, nel qual caso un rapido incontro con l’energumeno appena uscito dalla porta del bagno. Rufo accetta, ma il suo avversario è più tosto di quel che sembra e, grazie ad un enorme pugno infilato al posto della mano, mette il gigante al tappeto. Mentre il “Pinza” sta festeggiando, Rufo tenta un ultimo disperato colpo, solo per ridurre la faccia di una delle ragazze dell’avversario in poltiglia. Rimesso il bestione a dormire a suon di pugni, i teppisti tentano di nascondere il macello infilando i cadaveri nel camion. Ma quando scopriranno che cosa effettivamente sta trasportando il tir, Sangrecco farà loro una sorpresina che non dimenticheranno.

La trama di questo fumetto è una bomba di adrenalina e azione e quando leggerete il finale, vi lascerà completamente a bocca aperta. I dialoghi sono degni di un film di Quentin Tarantino, la narrazione scorre velocissima, dal calmo inizio fino alla conclusione col botto. L’atmosfera è quanto di più pulp ci possa essere e non potrete fare a meno di innamorarvi dei due protagonisti, dotati di un carisma e una personalità fenomenali, in particolare il geniale e comico Sangrecco.

Rafael Grampà, oltre ad aver scritto una grandissima storia, è anche un disegnatore eccezionale: il suo tratto, per certi spunti simile a quello di Geof Darrow, è particolarissimo e intrigante. Tutto, dai personaggi, agli sfondi, fino alle singole onomatopee cattura l’attenzione del lettore e lo fa letteralmente entrare nel mondo immaginato da questo talentuoso autore. Nelle varie tavole, si nota come Grampà abbia iniziato disegnando loghi per ogni tipo di ditta: infatti, sono presenti in tutto il fumetto moltissime insegne, etichette e quant’altro, rifinite sempre in maniera dettagliata e personalissima.

Insomma, anche se trovare questa opera non sarà semplice, vista la distribuzione in un numero relativamente esiguo di copie, appena la scoverete nella vostra fumetteria di fiducia, non abbiate dubbi: prendetela, anche a costo di picchiare il tizio che l’ha adocchiata prima di voi. Non ve ne pentirete assolutamente.

Voto: 9/10

venerdì 29 ottobre 2010

Recensione film Basilicata coast to coast

Basilicata coast to coast
Di Rocco Papaleo (2010)

“La Basilicata esiste, è un po' come il concetto di Dio, ci credi o non ci credi”: così descrive la sua terra Nicola, il personaggio interpretato da Rocco Papaleo, in questa pellicola in veste di attore/regista. In effetti, non me ne vogliano gli amici lucani, la Basilicata, delle regioni italiane, è uno di quelle meno note e famose, quasi un mondo misterioso fra le più celebri Puglia e Calabria. Papaleo, in questa commedia on the road, ci porta a scoprire le bellezze di questo pezzo di terra italica, suo luogo d’origine.

Data la poca conoscenza della regione in questione, molti, compreso il vostro umile sottoscritto, si sono stupiti nello scoprire che la Basilicata è bagnata sia dallo Ionio che dal Tirreno, anche se solamente per una striscia di 30 km. Qui si trova Maratea, e da qui inizia la pellicola. Nicola (Papaleo) è un professore di liceo con la passione per la musica, e, assieme alla sua piccola band, decide di partecipare al festival musicale “Scanzonissima”, che si tiene a Scanzano Ionico. Il gruppo è formato dal chitarrista Salvatore (Paolo Briguglia), il suo quasi famoso cugino Rocco (Alessandro Gassman), chiamato solo perché, appunto, ha partecipato a qualche programma televisivo e il contrabbassista Franco (Max Gazzè), che parla solo a gesti.
Nicola decide di rendere più interessante il viaggio raggiungendo Scanzano a piedi, fermandosi nei paesini lungo la strada e provando i propri pezzi durante il tragitto; per documentare questa coast to coast, si unisce a loro la svogliata giornalista Tropea (Giovanna Mezzogiorno).

I quattro, accompagnati da un carretto, si incamminano per gli impervi sentieri delle montagne lucane e, in ogni borgo, incontrano persone e tradizioni diverse, il tutto accompagnato dalla musica delle loro canzoni. Fanno così la conoscenza di Maria Teresa, una ragazza di un paese dove si dice che vivano le donne più belle di tutta la Basilicata: per questo motivo qui è stato inventato il “ballo a tre”, data la sovrabbondanza di sesso maschile. La giovane donna, che scopriamo prossima al matrimonio, accompagnerà per un certo tratto il gruppo, facendo scoprire a Rocco e Salvatore cosa si intende per “ballo a tre”, non solamente riguardo alla danza. Ma la Basilicata è anche il paese dei briganti e i nostri non sfuggiranno ad una “aggressione” del fratello di Maria Teresa, deciso a riportarla a casa, in veste di capo brigante a cavallo, munito,però, di casco.

Il cammino, iniziato come una trovata pubblicitaria, diventerà un vero e proprio percorso di vita, per scoprire non solo le bellezze del paesaggio lucano, ma anche sé stessi. Alla fine arrivare a Scanzano non sarà solo raggiungere un festival musicale, ma qualcosa di più profondo e importante.

Questo film, forse passato troppo in sordina, è veramente di ottima fattura. Eccellenti sono, infatti, le prove dei vari attori, che variano dal drammatico al comico, sempre mantenendo un livello di recitazione altissimo. Papaleo porta lo spettatore in un viaggio fra le tradizioni e i panorami della sua terra, senza mai cadere nello stereotipo o nel banale, e, al tempo stesso, facendolo ridere di gusto. Ottime anche le musiche, suonate quasi sempre dal gruppo, estremamente varie e coinvolgenti, con l’importante contributo di quel grande bassista che è Max Gazzè. Dispiace solo che ottime pellicole italiane come questa, spesso passino in secondo piano rispetto a filmacci di quart’ordine, spacciati per capolavori di comicità. Insomma se non avevate idea che la Basilicata avesse due coste e volete farci un viaggio, ridendo e ascoltando buona musica, questo è il film che fa per voi. Se siete lucani, probabilmente avrete dei retaggi briganteschi e starete già per farmi un’imboscata sotto casa. Viva la Basilicata!

Voto: 8/10
Voto Trash: 2/10

giovedì 28 ottobre 2010

Voto Trash

Novità delle novità: da oggi oltre alla votazione "normale" dei film, che vi darà il grado di apprezzamento di un pubblico civile e sano di mente, sarà aggiunto il voto Trash, cioè la quantità di scempiaggini, recitazioni becere e conseguente divertimento che possono derivare da un film solitamente fatto con i piedi. In sostanza: se siete fan di questo genere più alto è il voto, maggiore sarà la carica demenziale con cui potrete gustarvi la pellicola. Buon divertimento!

Recensione film Rottweiler


Rottweiler
Di Brian Yuzna (2004)

La trama di questo film recita “ad un cane (la razza la potete intuire) viene impiantata, dopo un delicato intervento, una mascella d’acciaio e viene posseduto da uno spirito demoniaco…”. Per una persona sana di mente, questo sarebbe un chiaro segno di gravi scompensi nell’infanzia dello sceneggiatore, ma non per il vostro umile sottoscritto. Decisi a vedere questa trashata fino all’ultimo o a perire nel tentativo, io e miei fidati compagni ci siamo incamminati sulla strada del masochismo cinematografico. Eccovi il resoconto:

La storia inizia con la fuga di un prigioniero, che sembra la brutta copia di Ridge di Beautiful, da un campo di prigionia per immigrati nel sud della Spagna. Al suo inseguimento parte un poliziotto sadico e il suo fidato Rottweiler, che, siccome siamo nel 2018, ha una mascella bionica e dei led blu al posto degli occhi. Il protagonista, Dante, scappato sulla cima di un monte, sviene e scopriamo, in un flashback, che era a bordo di una barca carica di clandestini assieme alla sua ragazza. Il saggio vecchio, che in queste situazioni non manca mai, gli aveva detto che stava arrivando il male sottoforma di nebbia (come si dice “male in Val Padana” etc etc) ma il nostro bifolcone si era messo a sfotterlo, fino a quando non era arrivata la polizia. Dante si risveglia e si ritrova in faccia il cane idrofobo e il suo sanguinario padrone; sembra la fine, ma, dovendo il film durare almeno un’altra ora, l’eroe, con un trucco da manuale, spara allo sbirro e fa saltare la testa al cane.

Mentre Ridge dei poveri fugge ai piedi del monte e ha un piacevole incontro a base di wishky e canne con dei contrabbandieri locali, il male, o meglio, la nebbia si impossessa del botolo, che si mette all’inseguimento del malcapitato belloccio. A fare le spese della furia omicida della bestia, che, quando morde, emette suoni simili a quelli di un coltello elettrico, è uno dei contrabbandieri. Assetata di sangue, il robot/cane/demone raggiunge il fiume dove Dante si sta lavando come mamma l’ha fatto, ma il nostro eroe fugge a culo nudo per la selva. Arrivato a una casetta, incontra madre e figlia, palesemente spaventate da cotanta nudità; la brava mammina, però, essendo donna d’esperienza, pensa bene di circuire il nuovo arrivato, nonostante la figlioletta corra urlando per tutta la casa, a causa della bestia demoniaca che tenta di sfondare la porta. Dante fa appena a tempo a recuperare un paio di pantaloni e a fuggire con la bambina, mentre la madre viene fatta a pezzi nell’indifferenza generale.

I due riescono a nascondersi su un camion della polizia, ma non si accorgono del mostro, riuscito ad infiltrarsi pure lui. Ovviamente i poliziotti sono smembrati come da copione, ma il cane viene sbalzato dal veicolo e il nostro eroe scappa, non curandosi minimamente della bimba. Non si sa come Dante si ritrova in un cimitero: in un altro flashback, lui e la ragazza vengono catturati dalla polizia e, per riottenere la libertà, la ragazza deve “far divertire” il vecchio maiale a capo delle corrotte forze dell’ordine. Ah, i due non erano nemmeno immigrati clandestini, ma si trovavano lì solo per “un gioco di ruolo”… Comunque, il nostro mascelluto amico si ritrova, con una velocità ai limiti di quella del suono, in una città/bordello, dove dovrebbe vivere la sua amata. Dopo aver vagato in compagnia di uno spacciatore, nonché rapper fallito, subito macellato dal redivivo cane, giungiamo allo showdown finale col capo della polizia. Ennesimo flashback: la donna di Dante è stata uccisa dal Rottweiler del vecchio, è stato bastonato a morte dalla furia vendicatrice dell’eroe e riportato in vita bionicizzato. Nella lotta conclusiva il nostro eroe fa esplodere l’elicottero del cattivo, gettandolo nelle fiamme assieme al cane. Ma non è finita qui, in quanto lo scheletro meccanico del mostro si rialza, in una scena che grida al plagio da Terminator, e parte alla carica. Il film termina con la morte nel fuoco di tutti, Dante compreso, con tanto di scopiazzatura finale dell’occhio elettronico del cane che si spegne lentamente.

In sostanza motivi per guardare questo film non ne avete uno che sia uno. Il mostro è ridicolo e addirittura ci sono sospetti di maltrattamenti sulla povera bestia che lo ha interpretato. Il rumore della mascella bionica vi farà piegare dalle risate e il lo scheletro fatto al computer ricorda i salvaschermi di Windows 98. Peggio di lui tutto il resto del cast, in primis il demente protagonista, che vaga per un’ora e mezza sempre con la stessa espressione beota. Non bastasse altro, una sceneggiatura tirata per i capelli, che nonostante la sua banalità, da metà film in poi abbandona ogni pretesa di seguire un filo conduttore. Per concludere, se siete amanti dei film dalla trama insulsa e vi piacciono i mostri bionico – demoniaci, forse questa pellicola potrà strapparvi qualche sorriso, pur compromettendo le vostre facoltà mentali. Se fate parte della lega contro i maltrattamenti sui cani, probabilmente è il caso che cambiate canale.

Voto: 3/10
Voto Trash: 6/10

mercoledì 27 ottobre 2010

Recensione fumetti Kick Ass

Kick Ass: Ombre Rosse
Mark Millar - John Romita Jr.
Paninicomics - 2009
100 pagine a colori - 12 €

Pubblicato in Italia in concomitanza con l'uscita nelle sale statunitensi dell'omonimo film, Kick Ass è la storia del teenager nerd Dave Lizewski, che decide di far divenire reali i propri sogni vestendo i panni del supereroe Kick Ass.

Nel primo numero abbiamo visto che l'inizio della nuova doppia vita del protagonista non è stato dei migliori, dato che è stato prima picchiato e poi investito; grazie ad un video pubblicato su Youtube, però, Kick Ass conquista fama e notorietà sulla rete, tanto da ispirare diversi imitatori.

In questo secondo albo Dave farà la conoscenza di un “collega”, Red Mist, con cui scoprirà avere molti punti in comune e compierà un'impresa non propriamente eroica. Ma l'incontro con altri due supereroi, Big Daddy e la figlia Hit Girl, dai metodi ben più concreti e sbrigativi, cambierà per sempre la vita Kick Ass, fino all'esplosivo finale.

Mark Millar ci presenta una sceneggiatura molto hollywoodiana, tanto che l'adattamento cinematografico risulta quasi un passo obbligato, con il classico finale lasciato aperto per eventuali sequel. Ciononostante la storia scorre in maniera lineare e ottima è la caratterizzazione del protagonista, vero perno centrale di tutta la vicenda, mentre gli altri personaggi, se pur poco approfonditi, ben si integrano nello svolgersi dell'azione. In tutta la storia ci sono continui riferimenti al mondo reale, in particolare a Internet, come Youtube o Myspace e citazioni fumettistiche, per meglio far impersonare il lettore con il protagonista: da nerd emarginato a eroe mascherato, ma con un finale totalmente differente.

I disegni di John Romita Jr. lo confermano ancora una volta come uno dei migliori artisti in circolazione e il tratto spesso cartoonesco contrasta ottimamente con i dialoghi irriverenti e le situazioni violente proposte da Millar.

Aspettando di vedere il film, che ovviamente sarà recensito alla velocità del suono, questo fumetto è una lettura più che piacevole, sicuramente non un pezzo della storia dei comics, ma comunque consigliato a chiunque volesse godersi una storia ottimamente scritta e disegnata.

Voto 7/10

Recnsione fumetti Atomic Robo volume 3


Atomic Robo volume 3, L’ombra del tempo ignoto  
Brian Clevinger - Scott Wegener
ReNoir comics - 2010
150 pagine a colori - 15 €

“E’ come un Hellboy più leggero”. Questa è una delle impressioni più comuni che vengono in mente quando si legge per la prima volta Atomic Robo. L’autore stesso, Scott Wegener, nell’introduzione fa notare che, se gli avessero dato un nichelino per ogni volta che questa frase è stata ripetuta, a quest’ora starebbe su una spiaggia in Messico.
Molte sono le affinità che legano Atomic Robo alla creatura di Mike Mignola: elementi soprannaturali e mostri alla H.P. Lovercraft (che in questo volume addirittura compare ed è posseduto a sua volta da una creatura pan dimensionale), l’appartenenza a un’agenzia che si occupa di tenere questi esseri quanto più lontano possibile dall’umanità, l’invulnerabilità del protagonista e la sua ironia anche nelle situazioni più spaventose e impressionanti, e i soliti nazisti folli e desiderosi di conquistare il mondo.

Ciononostante, se nelle storie di Hellboy sono presenti moltissimi elementi di folklore e misticismo delle più diverse culture, il tutto circondato da un’aura di cupezza e quasi di pessimismo, l’opera di Clevinger e Wegener ha toni molto più leggeri e scanzonati, prendendo le distanze dal fumetto che probabilmente lo ha ispirato e creandosi un universo proprio, più positivo e ironico, che non può fare a meno di appassionare il lettore. Robo è un personaggio carismatico e divertente e riesce a strappare un sorriso anche quando è a rischio la continuità stessa della realtà.

In questo terzo volume il protagonista sarà costretto ad affrontare una creatura partorita letteralmente dalla mente di un giovane H.P. Lovercraft, che Robo dovrà affrontare per ben quattro volte dal 1926 ai giorni nostri, in quanto l’essere esiste in ogni dimensione e tempo. La trama all’inizio può sembrare molto intricata e complessa, ma viene via via chiarita dall’autore, per arrivare ad un finale a sorpresa, che ricongiunge tutti i punti lasciati in sospeso nel corso della storia.

I disegni di Scott Wegener sono di ottima fattura e, pur richiamando molto lo stile di Mignola, rimangono fedeli all’aria di spensieratezza della storia e del protagonista, con tavole luminose e colori accesi. In conclusione un acquisto consigliatissimo, che non potrà fare a meno di piacere a tutti gli appassionati del fumetto d’avventura e non.

Voto 8/10